Da qualche mese se ne
parlava: Aldo Nove (al secolo Antonello Satta Centanin, da Viggiù,
Varese), autore giunto alla notorietà letteraria e mediatica con l’ondata
dei "cannibali", stava per dare alle stampe un poemetto sulla
Vergine. Ora Maria (Einaudi, collezione "bianca") è sugli
scaffali delle librerie. Qualcuno aveva parlato di scandalo a rovescio, di
una "conversione": semplificazioni giornalistiche. A leggerli,
però, i trenta canti del poema sulla madre di Gesù (ciascuno in sette
quartine di endecasillabi rimati) fanno la loro impressione. Passare dai
raccontini cinici, minimali e senza fiato di Woobinda e Superwoobinda
– specchio di una generazione nutrita di televisione e irrealtà –,
al linguaggio poetico di una lunga tradizione, all’inno mariano, non è
cosa da poco.
Lui, Aldo Nove, non si scompone: non c’è calcolo o
contraddizione, dice, ma qualcosa d’altro. «Alla metà degli anni Novanta
aveva un senso esprimere con dei racconti la deriva e la perdita di realtà.
Adesso abbiamo tutti capito che cosa è successo. Ora siamo al gossip puro.
La velocità della trasformazione è stata incredibile. La
smaterializzazione delle notizie è violenta e cambia radicalmente dopo
millenni il nostro senso delle cose. Un autore deve rimettersi in
discussione quasi a ogni momento».
- Per questo può servire, paradossalmente, tornare
indietro?
«Sì, per trovare uno spessore che ci sottragga al puro
presente. Al di fuori di un libro, oggi, quand’è che viviamo veramente
qualcosa? Forse quando ci nasce un figlio o ci muore un genitore. Per il
resto stiamo dentro una massa molliccia di tipo mediatico. Diversamente dal
divertimentificio, la letteratura ha tempi lunghi, addirittura può
trascendere i tempi umani: può permetterci di dialogare con uomini di
secoli fa. Leggendo alcune pagine delle Confessioni di sant’Agostino,
in cui si parla del paradosso del presente che fugge, che già non è più
mentre lo si nomina, io posso dialogare con lui, provare commozione per
quello che dice: questo è cultura, questo corto circuito amoroso tra vivi e
morti».
- Maria
vive appunto di una
lingua non schiacciata sul presente.
«Ho sempre avuto molta passione per l’italiano delle
origini: un momento sorgivo, di incertezza della costruzione. Francesco e
Iacopone parlavano una lingua popolare, sia nella struttura sia nel lessico.
Poi ho avvertito fortemente il valore della litania, quasi della
filastrocca: i ritmi sono una dimensione profonda, corporea. Il rosario è
la preghiera cattolica più universale, è in qualche modo anche un mantra:
si ripetono tante volte delle sequenze, il linguaggio non è più solo
referenziale».
- Si può dire che c’è l’espressione di un credo
nella tua Maria?
«Mia nonna, Virginia Sabot in Centanin, a cui questo
libro è ispirato, negli anni della mia ribellione giovanile mi comunicava
con il suo rosario in mano una cosa forte: la fede vissuta da una donna
"di un altro secolo" (era nata nel 1903). Non posso dire con
leggerezza se c’è fede da parte mia. La letteratura è il confronto con l’altro:
io ho voluto confrontarmi col mondo cattolico e contadino di mia nonna.
Certamente sono stato travolto dalla bellezza dell’immagine di Maria: è
una delle figure più "comprensive" della religione, la
condividiamo anche con l’islam. Nella sua figura c’è l’abbraccio
incondizionato. Credo che il mondo sia destinato all’incontro e Maria in
questo senso ha un valore comune: perciò mi piaceva molto la fede mariana
di Giovanni Paolo II».
- Come è maturato il lavoro?
«Ho scritto il testo di getto, in poco tempo, dopo
tre-quattro anni di preparazione, in cui aspettavo la tensione giusta. Ho
letto i vangeli apocrifi, san Bernardo, le mistiche, teologi dissidenti come
Boff e ho attinto a fonti letterarie, come l’Annunciazione di Rilke».
- Ci si poteva attendere da Aldo Nove qualche forzatura.
Invece…
«Sarebbe stato banale: non mi piace
giocare così facile. L’arte del resto pone dei problemi oggettivi. E poi
siamo nel 2007: il fotografo Andres Serrano faceva provocazioni con i
simboli cattolici vent’anni fa. Credo che nello sfacelo di oggi abbia
senso, all’opposto, un recupero della tradizione, che è il contrario
della partigianeria. Ho fatto leggere Maria a Nanni Balestrini (uno
dei corifei del Gruppo 63, ndr.): mi ha detto che rispetta il testo,
che gli interessa…».